Lettori fissi

sabato 11 aprile 2020

Pasqua e pandemia...rimaniamo uniti in noi stessi e al tutto del quale siamo parte.


Pasqua (in ebraico pesach) è una parola ebraica che significa passare oltre,  ed  è  il nome  scelto per designare la festa ebraica che ricorda il passaggio del Mar Rosso del popolo ebraico, ed  è di conseguenza  anche la  festa  che commemora il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Questa antichissima festa religiosa ebraica, ripresa e trasformata in senso spirituale dal cristianesimo, ha assunto oggi, sempre più, un significato dialettico: essa è il superamento del negativo, dell’alienazione da sé, dell’egoismo separante, della propria volontà che schiavizza interiormente ed oggetti vizza gli altri. La Pasqua quindi non è più solo la commemorazione di  una liberazione che proviene dall’esterno e che consente di sperimentare una gioia dipendente dalle circostanze, ma è il punto di arrivo  di una purificazione interiore che si conclude con l’illuminazione della propria interiorità e che è anche un’esplosione di gioia duratura, di pace e beatitudine del tutto indipendente dalle circostanze storiche esterne, che giunge nell’anima quando si è rinunciato a se stessi.
Pasqua è quindi più di ogni altra festa, la festa della gioia, ecco perché viene chiamata anche la festa delle feste, dato che ogni festa è  già costitutivamente manifestazione della gioia (così ad esempio la chiamano i cristiani ortodossi).
Ci chiediamo: Oggi, si può vivere nella gioia? Questa sfortunatissima circostanza della pandemia che tutti noi viviamo ci può togliere la gioia? Possiamo sperare di vivere oggi una Pasqua di gioia?
Io dico che la gioia che deriva e dipende dalle circostanze è considerevolmente compromessa: siamo costretti a convivere con la paura del contagio ed a vivere in casa, non possiamo frequentare gli amici, giocare al parco, fare sport, cenare insieme al ristorante, festeggiare i compleanni con gli altri, andare al cinema, al teatro, allo stadio, a scuola, ecc.. Ancor più penosa appare poi la condizione di coloro che sono nel lutto e che lottano contro la malattia, isolati dalle persone care.
Tuttavia, una più spirituale considerazione della drammatica situazione che stiamo vivendo, ci permette  di dire anche che la gioia interiore non è affatto intaccata dalle circostanze esterne, anzi queste, essendo avverse, ci spingono a rientrare in noi stessi ed a viverla in pienezza nel presente. La COVID-19 in quanto sciagura che colpisce tutti, ricchi e poveri, potenti e umili, famosi e sconosciuti,   ci distacca infatti dalle diversità sociali con le quali spesso in modo superficiale,  estraniandoci da noi stessi, ci identifichiamo e che necessariamente  ci separano e ci alienano. Il virus che agisce in modo universale laddove trova condizioni adatte, ci permette di riscoprire ciò che nell’interiorità da sempre già tutti sappiamo: noi siamo uno, siamo tutti uniti e il comportamento di ciascuno si ripercuote, nel bene e nel male, su tutti, e questo coinvolgimento non riguarda solo i nostri simili, ma l’intera natura con tutti gli esseri che la compongono.  La COVID-19 ci ricorda così quello che spiritualmente sappiamo da sempre e cioè che tutti siamo fragili e fisicamente mortali, ma anche spiritualmente forti ed eterni  se rimaniamo uniti in noi stessi e al tutto del quale siamo parte. Sappiamo anche che questa conoscenza dà ad ogni istante il carattere luminoso della gioia che non viene meno.
La COVID-19 favorendo il rientro in noi stessi ci consente anche  di riscoprire la legge della vita che da sempre conosciamo e che in modo pregnante è annunciata dal termine resurrezione:  il negativo non è la fine di tutto, ma è  come la doglia che conduce al parto e poi  ad una nuova vita. Questa speranza, spiritualmente fondata, non è vana e ci rende capaci di vivere autenticamente la Pasqua e trasformare così il negativo in nuova vita e bene per tutti.
Prof. di Religione
Massimo Polidori


Nessun commento:

Posta un commento